lunedì 14 marzo 2016

Recensione del volume "Tu es Petra" di Chiara Benedetta Rita Varisco



«Terminata la lettura del volume “Tu es Petra” di Chiara Benedetta Rita Varisco mi chiedo e senza infingimenti: ma che cosa ho letto? un volume di storia? un volume di geografia?
Mi sono trovato in Toscana: ho incontrato molti borghi, conoscendone i nomi e le vicissitudini.
Ho intravisto la storia di una persona che va alla ricerca e si incammina lungo un percorso di elevazione, accompagnato da un altro individuo che non è un duce e nemmeno una guida, ma che aiuta a notare, ad osservare, a non dare mai per scontato ciò che vede, ciò che ammira, ma è invitato sempre dall’Autrice ad andare “oltre”… ed è un “oltre” carico di mistero che rimanda a simboli non sempre di facile lettura, né di immediata applicazione.
Si rischia -e molto- di offendere il “simbolo”, parola più volte scritta dall’Autrice e che chiede grande attenzione da parte del lettore.
Chi si accosta all’Opera impara tante cose, viene a conoscere molte nozioni di ogni tipo -storico, geografico, artistico-.
Il lettore non deve avere fretta nel vedere la conclusione e deve fare tesoro di quanto in apparenza superfluo: le immagini fotografiche e le cosiddette introduzioni ai diversi capitoli sembrano poesie, ma non lo sono, così anche le frasi e i detti di filosofi e narratori sia antichi, sia moderni… costituiscono un invito a sostare qualche istante, a cercare di intravedere significati e sensi, visibili soltanto agli occhi della mente e del cuore.
Da ultimo, ed è la versione più profonda del volume: ma come mai tale titolo, “Tu es Petra”?
Quante pietre si incontrano nel Volume che penetrano nel protagonista che le ammira, le legge, le fa sue fino ad immedesimarsi con esse… e diventa lui pure Pietra.
Cambia il suo nome perché si è incontrato con la Pietra angolare che è Cristo Gesù… vedi la lunga e preziosa descrizione del Battistero di Soana e di Pitigliano… là da catecumeno a “homo novus”; è pietra sulla Pietra!
Non fretta, ma calma; non curiosità, ma desiderio di approfondire; non superficialità, ma assimilazione…Certo ci vuole tempo. Certo ci vuole vita interiore.
Queste le mie prime ed immediate impressioni che comunico ai lettori.
Vale la pena leggere il volume; il costo non è il prezzo di copertina, ma il prezzo di te stesso!»
Con queste parole, schiette e sincere, Angelo Mascheroni ci introduce alla lettura della seconda edizione di “Tu es Petra”, arricchita di ulteriori fotografie e frammenti poetici.
Un dialogo con i simboli del passato, testimonianze artistiche e paesaggistiche capaci di entusiasmare la mente e la fantasia del lettore che diviene spettatore del percorso che il protagonista compie lungo il filo dorato della sapienza, in cui l’agente della trasmutazione non è il fuoco elementare ma il fuoco spirituale dell’amore, attraverso la consapevolezza del presente e sempre memore di ciò che fu.
L’Opera, con intento divulgativo, affronta la relazione con “il simbolo” attraverso un percorso che Alessandro Meluzzi, nella sua prefazione al Testo, definisce esoterico e iniziatico: «Esoterico perché tende alla ri-velazione di misteri archetipici, iniziatico perché li comunica per allargare i confini e i contorni della coscienza di chi li riceve. È un linguaggio che parla direttamene alle radici dell’anima per accendere quel “fuoco interno”, chiave alchemica dell’Umano, la cui autoconoscenza è la meta di ogni gnôthi sautón. Un “conosci te stesso” che è la base di ogni sapienza, non solo sul piano dell’introspezione, ma anche su quello dei percorsi di ogni storia umana.»
Il Volume presenta undici capitoli il cui titolo riporta al mistero dell’homo religiosus che varca lo spazio interiore per trovare il Punto, la Magna Opus, il Fiore della Vita, un Triplice Segreto, il Centro Sacro, il Demone Filosofo, il Labirinto, la Triplice Cinta, il Nodo di Salomone, Compassi e Squadre, il Nodo di Apocalisse.
Tutti questi undici “elementi” -da sottolineare il simbolismo numerico che rimanda al pentacolo sommato all’esagramma e che determina la stella ad undici punte- sono preceduti da un incipit che porta a riflettere e conduce alla sintesi conclusiva.
E così l’Ifigenia in Aulide (1250-1251) di Euripide: «la cosa più bella per gli uomini è vedere la luce del sole, dall’altra parte non c’è nulla» ci introduce al “Punto”.
Per la “Magna Opus” il Sommo esprime appieno il desiderio di principiare la vita nova: «In quella parte del libro de la mia memoria dinanzi a la quale poco si potrebbe leggere, si trova una rubrica la quale dice: Incipit vita nova. Sotto la quale rubrica io trovo scritte le parole le quali è mio intendimento d’assemplare in questo libello; e se non tutte, almeno la loro sentenzia» [Dante, Vita Nova, 1].
Un inno omerico per comprendere il “Fiore della Vita”: «e Demetra a tutti mostrò i riti misterici,/ a Trittolemo e a Polisseno, e inoltre a Diocle,/ i riti santi, che non si possono trasgredire né apprendere/ né proferire: difatti una grande attonita e atterrita reverenza/ per gli dèi impedisce la voce./ Felice colui, tra gli uomini viventi sulla terra,/ che ha visto queste cose:/ chi invece non è stato iniziato ai sacri riti,/ chi non ha avuto questa sorte/ non avrà mai un uguale destino, da morto,/ nelle umide tenebre/ marcescenti di laggiù» [Omero, Inno a Demetra (476-482)].
L’Alcibiade primo di Platone sembra rivelare un “Triplice Segreto”: «colui che ammonisce di conoscere se stesso,/ ci ordina di conoscere la nostra anima…/ Possiamo noi indicare nell’anima una parte più divina/ di quella ove risiedono la conoscenza ed il pensiero?/ Questa parte dell’anima è simile al divino,/ e se la si fissa s’impara a conoscere tutto ciò che vi è di divino,/ intelletto e pensiero,/ si ha la migliore possibilità di conoscere se stessi/ nel modo migliore».
Un segreto, forse, che può condurre al “Centro Sacro”: «quando l’anima, restando in sé sola,/ volge la sua ricerca,/ allora si eleva a ciò che è puro,/ eterno, immortale» [Platone, Fedone (79 d)].
Il frammento 245b dal Fedro di Platone suggerisce la manikè concessa dal “Demone Filosofo” «Tante grandi e splendide opere, e ancora maggiori posso enumerarti/ come dono del delirio che viene dagli dèi! Non lo si tema quindi per se stesso,/ né ci sconcerti quell’argomento che ci mette in guardia per farci preferire/ un amico in senno in luogo di uno appassionato./ Ma questa teoria canti vittoria,/ solo dopo aver dimostrato che l’amore è inviato dagli dèi all’innamorato/ e all’amato non per loro vantaggio./ Sta a noi dimostrare il contrario,/ cioè che questa specie di delirio/ è la piú grande fortuna concessa dagli dèi».
Le celeberrime parole di papa Pio II tratte dai suoi Commentarii sono preludio di antiche sapienze racchiuse nel “Labirinto”: «ascendi, o viatore, la strada che al monte conduce,/ ed ivi troverai l’erba di Carlo, che salvò il suo esercito dalla peste,/ e che guarisce da ogni infermità».
Nuovamente il filosofo, per discutere della “Triplice Cinta”: «la sapienza, infatti, fa parte delle cose più belle/ e Amore è amore del bello, sicché è necessario che Amore sia filosofo/ e, in quanto filosofo, sia in mezzo tra il sapiente e l’ignorante» [Platone, Simposio].
Una delle più importanti raffigurazioni ebraica sviluppatasi successivamente al terzo re d’Israele è il “Nodo di Salomone” e, dunque, «l’intima natura delle cose ama nascondersi» [Eraclito].
Il penultimo “simbolo” è costituito da una diade: “Compassi e Squadre”, per comprenderlo occorre assimilare quanto dice l’inventore della psicoanalisi moderna Carl Gustav Jung: «chi cerca trova, e colui che sempre cerca, sempre trova. Per questo sono felice di non vedere alcuna conclusività da nessuna parte, bensì un’oscura distesa piena di misteri e di avventura».
In ultimo, l’undicesimo glifo, è il “Nodo di Apocalisse” ed agevolano la sua lettura i versi carducciani tratti da Sogno d’estate: «tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre sonanti/ la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra ‘l sonno/ in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggì su ‘l Tirreno./ Sognai, placide cose de’ miei novelli anni sognai./ Non più libri: la stanza dal sole di luglio affocata,/ rintronata da i carri rotolanti su ‘l ciottolato/ de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei colli,/ cari selvaggi colli che il giovine april rifiorìa».
Una frase su tutte può aiutare a comprendere e a raggiungere pienamente il traguardo, la meta prefissa dall’Autrice che descrive un personaggio alla ricerca, che trova quanto desiato andando “oltre” e raggiungendo, pienamente, l’homo novus: «qui scit comburere Aqua et lavare Igne facit de Terra caelum et de Caelo terram pretiosam».
Solo vivendo tutto questo, dopo mille tortuosi percorsi, perdendosi per i sentieri tra la Terra e il Sacro Monte, il protagonista riuscirà, in ultimo, a riconoscersi nel proprio personalissimo processo di individuazione, in quella singolare elevazione spirituale che lo porterà ad affermare il suo “Tu es Petra”!